giovedì 31 dicembre 2009

BONAMANZI GAME PARK


Abbiamo affittato una Fiat Palio a Durban che ci ha condotto fino al nord del Kwazulu Natal, in una riserva naturale chiamata Bonamanzi Game Park. Siamo qui per il matrimonio del mio amico Ben, che si sposa con Shannon, una Sud Africana trapiantata in Inghilterra.

Appena varcato il cancello entriamo nella riserva, in un'atmosfera un po' Jurassik Park, e per non deluderci appaiono subito alcuni degli animali che vivono in liberta' ed ormai abituati alla presenza dei turisti ospiti nella riserva: Antilopi (in varie specie), Gnu, ed altri della specie dei "saltellanti".
All'interno del parco c'e' il luogo che ospitera' il matrimonio, con un ristorante e dei bungalow tipici africani in cui siamo alloggiati anche noi: i Lalapanzi!
La location e' davvero incredibile, animali da National Geografic si aggirano per i bungalow con impressionante tranquillita'. La riserva ospita anche scimmie e coccodrilli (che per fortuna restano nello stagno!)

Il matrimonio e' stato bellissimo, in uno scenario da favola, seguito da una festa degna dell'occasione, dove abbiamo potuto abbuffarci di piatti tipici locali e ballare con gli amici fino a tarda notte.

In questi giorni abbiamo anche potuto ammirare la fauna locale! Abbiamo fatto una crociera sul fiume di Santa Lucia, tra Coccocrilli, Ippopotami ed ogni sorta di uccello tra cui la maestosa Aquila pescatrice.
Di mattina prestissimo, ci siamo anche inoltrati nella riserva di Hluhluwe Umfolozi, dove siamo stati letteralmenti sopraffatti dalla bellezza degli animali presenti: Giraffe, Rinoceronti, Iene, Facoceri, Bufali! Un gruppo ancor piu' fortunato ha avvistato a pochi metri anche Elefanti e 2 Leoni!

Insomma ora siamo esperti zoologi! Domattina lasciamo la compagnia del marimonio per inoltrarci nel Drakensberg Meridionale, la regione montuosa che separa il Sud Africa dal Lesotho

JOHANNESBURG

Sta per finire il 2009 e mi trovo nel bel mezzo di uno dei nostri famigerati ed ormai consueti viaggiazzi. La meta: il Sud Africa!
Viaggero' con Costanza per la prima settimana del viaggio ed in seguito proseguiro' verso Citta' del Capo con alcuni amici inglesi.

Siamo arrivati a Johannesburg lunedi mattina prestissimo e credo proprio che questa citta' meriti un post. Mi sforzo di scrivere post corti, ma devo fare anche le veci di Tommy, purtroppo assente a sto giro, e mi sono munito di guida e storiografia del paese!

Il primo post va a Johannesburg, per visitare la quale abbiamo dovuto appoggiarci ad un tour organizzato, dopo essere stati fortemente sconsigliati ad inoltrarci da soli dall'ufficio del turismo dell'aeroporto. Qualche statistica: oltre 20.000 omicidi l'anno, 30.000 furti d'auto ed il record mondiale di stupri (circa uno al minuto!!!)

Inizio dicendo che non vedevo una citta' canonicamente brutta come Johannesburg dai tempi di Antofagasta (Cile). Pensavo che la citta' piu' importante del continente, che ben presto ospitera' le finali dei mondiali e che vedra' l'arrivo degli Airbus A380 nel suo aeroporto, fosse una metropoli sviluppata ed un po americanizzata. E bastato fare 10 km dall'aeroporto per capire che si tratta sempre e comunque di una citta' africana, dove le disparita' economiche sono portate all'estremo. I ricchi vivono in ville fuori citta' con una spaventosa sicurezza privata, sono in larga parte bianchi e non osano inoltrarsi nella metropoli. La citta' invece e' un accrocchio di ghetti che vanno dal povero al poverissimo, completamente neri, e pericolosissimi per chiunque.Il quartieri del centro, come Newtown ol il Central Business District sembrano il Bronx.
Il nostro tour ha attraversato tutti i quartieri del centro e non, dandoci il permesso di scendere solo pochi minuti e controllati a vista. Abbiamo perfino attraversato il famigerato quartiere di Hillbrow, off limits anche per i sudafricani, in mano a spacciatori ed immigrati illegali da Zaire e Nigeria: qui il 62% della popolazione ha subito almeno un'aggressione, e non stento a crederlo vedendo le vie di questo quartiere. Finiamo poi a SOWETO, la piu' grande "favela" del mondo (4mln di abitanti) dove Nelson Mandela ha vissuto parte della sua vita: impressionante per la sua poverta' ed estensione, non dissimile da una favela di San Paolo.

Devo dire che a fine tour siamo contenti di tornare all'aeroporto per partire alla volta di Durban, con una dose di paranoia in piu' ed anche l'idea che a JNB una volta nella vita e' piu' che sufficiente!

P.S. Foto piu tardi

domenica 2 agosto 2009

SAN FRANCISCO



















San Francisco, 01/08/2009, Tommaso Mazzocchi

Terzo giorno. Sono partito lo scorso 28/07 alla volta di San Francisco dopo diversi ripensamenti sul da farsi, dopo molte mete anglofone scelte e poi scartate, sulla base di ragionamenti poco razionali che si basavano essenzialmente su sensazioni positive riguardo a questo lato dell’America, ho rotto le incertezze e ho deciso: San Francisco!
Caro Fede, questo diario è dedicato soprattutto a te, la tua mancanza servirà per lo meno a pareggiare il bilancio: Tommi – Argentina, Fede – California.
Nonostante mi trovi a viaggiare da solo non sono spaventato, sono anzi incuriosito da cosa uscirà da questa vacanza in solitaria…strumento utile per approfondire la conoscenza di se stessi, o almeno spero… San Francisco sotto determinati aspetti non da l’impressione di trovarsi negli Stati Uniti, per lo meno quelli che conosco io. La città presenta estensioni limitate rispetto agli standard americani, ogni meta è raggiungibile a piedi senza grandi problemi (se non il Sali-Scendi tipico delle strade), una bicicletta leverebbe addirittura ogni pensiero…devo avere una bicicletta! Ne ho noleggiata una per spostarmi da SF alla Marin Country, dall’altra parte del Golden Gate Bridge, dove si viene proiettati all’interno di una dimensione completamente inattesa, bucolica, incontaminata. Improvvisamente grandi salite, vento, nebbia, freddo, scogliere a strapiombo sul mare e colline verdi per chilometri e chilometri, pochi i villaggi: Sunsalito, Tiburon, San Rafael,…
Arrivo ormai a sera in un ostello nel bel mezzo del nulla, trovato per caso quando ormai stavo per perdere ogni speranza, dopo aver ottenuto indicazioni stradali da parte di un’apparizione celestiale che aveva le sembianze di una bellissima ragazza bionda dagli occhi celesti e il sorriso accattivante, uscita all’improvviso dalla nebbia e dal silenzio con scarpe e pantaloni da jogging per mettermi sulla retta via.
I gestori dell’ostello - ex caserma militare, per non tradire le aspettative del viaggiatore solitario che bussa alla loro porta sul far della notte affamato e infreddolito dopo ore passate a spingere sui pedali, hanno pensato bene di mantenere l’ambiente spartano e privo di confort. Bagni e camerate con finestre lasciate rigorosamente aperte, docce gelate e cucina comune. Mi unisco ad un gruppo di corridori che avevano scelto questo posto "abbandonato dal Signore" come ritiro di allenamenti, per un’invitante cena a base di pasta che sembra cibo per conigli e barrette energetiche comprate alla reception dell’ostello, le loro scorte erano invece molto più assortite, questo il motivo principale della grande amicizia dimostratagli!
La notte fuori era molto fredda, bella la sensazione di leggere davanti alla stufa accesa sprofondato nel divano prima di andare a dormire.
Il giorno dopo ancora bici, salite, discese, sentieri sterrati e foschia che si apre solo nel primo pomeriggio sul bellissimo panorama della baia di San Francisco: dalla costa riconosco perfettamente il Golden Gate e il Bay Bridge, i palazzoni del Financial District nonché Alcatraz e Angel Island.
Mi addormento al sole dopo aver pranzato, vengo svegliato dalla sirena del traghetto che mi riporterà in città … in attesa di una sistemazione definitiva trovo posto solo in un ostello nei pressi di Union Square, uno di quelli che ogni volta dico "mai più" e ogni volta ci ricasco, uno di quelli per intenderci dove c’è odore di muffa, la moquette che si appiccica ai piedi, almeno 3 coreani per stanza e la fila davanti al bagno per pisciare.
Consegno la bici, recupero la valigia lasciata sotto la scrivania di Mike per due giorni (insegnante della scuola che frequenterò a partire da lunedì), prenoto l’ostello, doccia veloce e sono ancora per strada: Lombard Street, Columbus Aw, North Beach (Little Italy), China Town…mille città in una, mille facce diverse, mille lingue, dialetti, accenti. Bella la sensazione!

venerdì 13 febbraio 2009

QUELQUES MOTS SUR LE CAMBODGE

Oubstad-Waia (Germania) 13/02/2008, di Christophe Schramm



Le Cambodge, pour nous, ça a été Angkor Wat et Phnom Phen, le tout en quatre jours... Si vous trouvez donc que je fais injustice a ce pays, c'est peut-être dû à la brièveté notre séjour. Si autre chose vous choque, dites-le moi aussi pour je quitte enfin mes grosses lunettes de jeune Européen gâté...

J'avais déjà voyagé un peu en Thaïlande, ainsi que dans d'autres pays qualifiés de « en développement » par les pays soi-disant « développés », néanmoins le Cambodge m'a d'abord choqué – par sa pauvreté. C'est palpable dès l'arrivée (avec 600 dollars par habitant et par an, soit moins de deux dollars par jour en moyenne, on ne va pas très loin), et ça semble être assez bien partagé (contrairement à d'autres pays avec des écarts plus marqués et plus visibles entre riches et pauvres, comme le Mexique, l'Argentine ou encore le Maroc, pour ce que j'en sais).

Arrivée le 29 janvier en début d’après-midi à Siam Reap, porte d'entrée aux trésors d'Angkor Wat : la petite ville bouillonne dans la chaleur et la poussière. Fede, "the living organiser", m'a envoyé le nom du guest house ou je retrouverai la troupe americano-italienne dans la soirée.

Ce qui m'a impressionné ensuite – mais c'est vrai pour l'Asie du Sud-Est dans son ensemble – c'est la nourriture. Elle est omniprésente:

On l'a sent partout, soit dans son état avant dégustation – odeurs de fruits et légumes, d'épices, de cuisine et surtout de fritures... - soit dans un état second - détritus entre le trottoir et la rue (cet espace qui peut faire quasiment la largeur de la chaussée), vomis de touristes éprouvés, comme Raymond un soir ou Fede quelques jours avant...

Tout le monde en vend dans toutes les conditions.

Quelqu'un est toujours en train de manger quelque chose, que ce soit un être humain ou un animal (chat, chien, rat etc.).

Comme si cette omniprésence devait servir de preuve au grand jour qu'on a réglé (vraiment ?) le premier problème de l’humanité: manger à sa faim.

Bref, nous les habitués des supermarchés, du congelé et des grandes assiettes toutes blanches avec un petit bout de quelque chose exposé dedans, on ne peut y rester indifférent: ça attire, ça intrigue, ça donne faim ou ça répugne, ça donne le vertige à l'estomac ou aux intestins ou ça rend carrément malade comme un chien...

La première journée ensemble, celle du 30 janvier, est entièrement consacrée aux temples d'Angkor Wat – nom trompeur parce qu'il ne désigne que le plus grand des dizaines de temples cachés un peu partout dans la forêt tropical dans cette région (et aussi ailleurs dans le pays).

Angkor Wat, c'est l'attraction touristique numéro un du pays (et sa deuxième ressource de devises étrangères!), mais malgré son exploitation intense, ça reste une belle aventure.

On arrive dans un Tuk-Tuk – et on n’est pas les seuls : Tuk-Tuk et vélos par centaines, minibus pour les touristes plus friqués, piétons, singes au bord de la route…

Je pourrais vous faire la description détaillée de chaque temple que nous avons vu, mais restons-en à l’essentiel :

  • Bayon avec ses 54 tours de pierre formées de quatre visages dans les quatre directions qui ressemblent étrangement au roi qui l’a fait construire (Jayavarman VII, l’un des grands maîtres d’ouvrage ici, comme son homologue Jayavarman II qui a fait ériger Angkor Wat) ;
  • Baphuon, représentation pyramidale de Meru, montagne sainte, avec un bouddha incliné gigantesque de 60 mètres de long ;
  • Phimeanakas, le palais royal, et la terrasse des éléphants avec des bas-reliefs d’éléphants sur plusieurs mètres de hauteurs, devant un vaste champ qui accueillait jadis les parades ;
  • Thommanon, petit temple en excellent état (mais Fede et Tommy ne l’ont déjà plus vu, celui-là, ils avaient eu leur dose de culture…) ;
  • Ta Prohm, le temple dans la jungle comme vous l’avez rêvé, avec d’énormes arbres dont les racines recouvrent les murs ou percent dans les parois ou s’assoient entièrement sur les bâtiments – magique ;
  • Et enfin, l’imposant, l’impressionnant Angkor Wat, recouvert de touristes et de bas-reliefs grandioses relatant les grandes mythologies des différentes religions qui se sont suivies dans cette région du monde (d’abord l’hindouisme, puis le bouddhisme, pour l’essentiel).
A la fin, on est tous d’accord : c’est exceptionnel par sa grandeur, sa beauté, l’effort qu’il a fallu pour construire tout cela, mais aussi par le caractère délaissé voire abandonné de certains sites (malgré les vendeurs de boissons et de livres photocopiés à 4 dollars, ou 3, à chaque temple…). Et pourtant, le site est en pleine exploration et restauration, avec l’Ecole Française d’Extrême-Orient en premier lieu que tout le monde semble connaître ici (elle serait donc plutôt à classer du côté des quelques bienfaits de la colonisation française dans la région), mais aussi les Allemands (Angkor Wat) ou les Japonais.

Mais la journée n’aurait pas été aussi mémorable si nous n’avions pas rencontré ce jeune moine bouddhiste qui est venue faire la visite comme nous : 24 ans, moine depuis 7 ans (!), comme son père l’avait été et l’un de ses huit frères. Et nous de lui poser toutes les questions les plus connes… : Lever à 4 heures du matin ; manger deux fois par jour, à 6 heures et à 11 heures ; non, il n’a jamais été à Phnom Penh (il vient de Siam Reap) ; non, il n’a pas le droit d’avoir de copine, mais il aimerait bien, quand il aura terminé… Bizarre seulement qu’il ne puisse pas nous dire quels sont les principaux écrits du bouddhisme, mais il est vrai que son anglais était assez basique. Et puis, la fin, un peu embarrassante : il semble nous dire qu’il accepterait une aumône, en même temps, il semble gêné quand nous lui donnons chacun un billet, dit vaguement que c’est interdit. Bref, son sourire me semblait honnête – c’est souvent le seul moyen de juger qu’on a, ici, quand on est blanc, avec un appareil de photo dans la main, et qu’on a marqué « dollars » sur le front. Moment emblématique de la difficulté qu’il y a à voyager dans un pays tellement plus pauvre que les nôtres, dans le respect des gens qui y habitent, sans condescendance.

Après les temples anciens – et un voyage en bateau sur le lac et la rivière Tonle Sap qui serait parmi les plus riches en poissons dans le monde –, nous verrons aussi les temples plus récents du palais royal à Phnom Penh, même si Fede et Tommy nous menacent d’une crise d’overdose de temples, d’or, de couleurs, de bouddhas partout, d’encens. Et pourtant, on y aura confirmation que les écrits du bouddhisme s’appellent bien la « Tripitaka » (bravo, Tommy !) et qu’on peut mettre plus de 2000 diamants sur un bouddha en or de la taille d’un homme…

S’il faut raconter une histoire de Phnom Penh, c’est la visite de Tuol Sleng, l’ancienne prison de haute sécurité (appelée S-21) des Khmers Rouges transformées en musée. A vrai dire, personne de nous n’y connaissait grand chose avant : on avait tous entendu parlé du régime des Khmers rouges, que c’était violent, très violent, qu’il y avait eu de nombreux morts. De là à essayer de creuser cette histoire complexe qui s’est finalement terminée (enfin, plus ou moins) il n’y a pas si longtemps que ça (1979, l’année de ma naissance, pour être précis) – personne de nous n’avait fait le pas.

Nous y allons une première fois le 31 janvier, puis encore une fois le lendemain. Le premier jour, la fille d’une victime du régime – son père était mort de faim – nous guide dans cette ancienne école dont les salles de classes avaient été transformées en salles de torture et en cellules individuelles (1,80m sur 0,80m au maximum) ou collectives (des dizaines de personnes couchées par terre, les pieds pris dans des anneaux de fer reliés par une longue barre pour pouvoir les « empiler »). Les lits de torture, les carreaux et les murs souillés de sang ont été laissés tels qu’ils ont été trouvés par l’armée vietnamienne quand elle libère les 7 seuls survivants de cette antéchambre de la mort en 1979. Sur de grands panneaux, des centaines de visages, pris en photo lors de leur arrivée dans ce « camp », numérotés soigneusement, avec une précision bureaucratique rappelant les pires moments du régime nazi. Au mur aussi, des peintures faites par l’un des sept (qui a justement survécu parce qu’il savait peindre) montrant des scènes de torture qu’il a vu de ses propres yeux ou dont le récit lui a été fait par d’autres prisonniers qui n’ont pas survécu : dos lacérés par des coups de fouet, ongles ou tétons arrachés, corps semi-vivants portés, les quatre extrémités attachés autour d’une barre de bois – je croyais que cela se faisait uniquement pour des animaux… C’est l’horreur, tout simplement. Dans une autre salle, quelques textes sobres décrivent la montée en puissance des Khmers Rouges, leur entrée à Phnom Penh en 1975, l’idéologie de renouveau du peuple cambodgien, visant surtout la population citadine qui devait être « rééduquée ».

Nous reviendrons le matin d’après, pour voir le film « Bophana » tourné par des Français, mélange moyennement réussi entre une histoire d’amour (un Khmer rouge et Bophana qui sera finalement déporté au S-21) et un documentaire sur le régime (avec notamment un passage étouffant rassemblant devant la caméra le peintre survivant et un ex-tortionnaire de cette prison : « Dis-moi, rien n’est exagéré dans les scènes que j’ai peint, n’est-ce pas ? – Non, rien. »).

S-21, c’est 20 000 morts entre 1975 et 1979 : certains meurent de la torture ou de faim, tous les autres sont fusillés et jetés dans des charniers à quelques kilomètres de la ville – 20 000 sur un nombre total de victimes estimés à 2 millions.

Devant cette cruauté indicible, devant cette tuerie sans raison, on ne peut que condamner l’idéologie qui en est à l’origine, quelle qu’elle soit d’ailleurs. La comparaison avec Auschwitz (environ 1,1 millions de morts) paraît si proche. Mais toute comparaison avec Auschwitz me semble être difficile. Par rapport à Natzweiler (en Alsace) ou Buchenwald (environ 56 000 morts), un seul constat s’impose : ces camps étaient (plus ou moins) à l’écart des villes, cachés dans la forêt. Quand on y va aujourd’hui, c’est le vide, le silence.

Tuol Sleng, c’est quelques bâtiments blancs-gris entourés d’un vague mur au milieu d’un quartier résidentiel de Phnom Penh avec des voitures garés à l’intérieur de l’enceinte, c’est des vendeurs de souvenirs et de boissons à côté des salles de torture, c’est le bruit de la « vie normal » autour qui entre même dans les cellules les plus sombres. Contraste fort s’il en est. Comme si l’horreur était encore tout près, parmi nous. Signe peut-être aussi d’une prise de conscience, d’une distanciation, d’une « Vergangenheitsbewältigung » qui n’a pas encore eu lieu. Ou est-ce une manière plus vivante, plus authentique de commémorer que les champs de stèles à la Eisenmann ? Le premier procès contre des Khmers rouges a commencé en 2008…

mercoledì 11 febbraio 2009

DA SAIGON A HANOI

Bangkok, 11/02/2009, 23.51, di Federico Ucci














Siamo tornati oggi da Hanoi al campo base, Bangkok, dopo un volo che in meno di 2 ore ha riavvolto la pellicola che avevamo girato per oltre un mese.

Questo Vietnam ci ha veramente stupiti, per la sua diversita', cultura e soprattutto voglia di emergere. E' forse questa la caratteristica che piu di ogni altra contraddistingue il paese che nel 2007 ha messo a segno la piu' forte crescita economica dopo la Cina, da paesi prigionieri della loro poverta', come il Laos e la Cambogia.

La reattivita' del Vietnam appare evidente sin dall'arrivo a Saigon. Lasciata la sonnolenta capitale cambogiana, Phnom Phen, una volta giunti nell'ex capitale del Vietnam del Sud siamo stati investiti da un'onda di vitalita': migliaia di moto scorrazzano strombazzando da ogni parte in un caos inverosimile. E' qui che veniamo in contatto con quella che personalmente reputo la piu' piacevole scoperta: la cucina vietnamita! La strada non e' piu solo luogo di spaccio di alimenti, ma diventa vera e propria occasione di incontro e di convivio, un po' come a Napoli. La migliore invenzione e' il Pho', un brodo di ossa di manzo che bolle per ore e ore ad ogni angolo delle strade ed in cui a richiesta le cuoche vietnamite immergono noodles, verdure e carne. Ottima, sana, leggera, (beh, se devo trovarle un difetto, non e' che riempia moltissimo...), i vietnamiti la consumano ad ogni ora, anche a colazione e cosi abbiamo abbracciato questa gustosa usanza.

Lasciamo Saigon per Nha Trang, una nota localita' balneare che raggiungiamo con il treno piu lussuoso che io abbia mai potuto immaginare: pareti in legno, televisore al plasma, bagni immacolati. Davvero non mi sento in un paese in via di sviluppo...altro che l'espresso Lecce-Torino!!
Alle spiagge di Nha Trang segue la pittoresca cittadina di Hoi An, un gioiellino dichiarato patrimonio dell'umanita'.Il porto sul fiume conserva la sua autenticita', cosi come il piatto tradizionale del paese:il Cao Lao, noodles all'uovo arricchiti con carne, cotenna di maiale fritta, uova di quaglia, spezie, una delizia!(questa non proprio leggera...)
Nelle viuzze le migliori sarte vietnamite mettono a disposizione dei clienti la loro maestria riproducendo a prezzi stracciati ogni abito a richiesta. Ne approfittiamo per rifornirci di splendide camicie su misura, vestiti, cappotti...siamo stracarichi.

Alla magia di Hoi An segue l'austerita' classica di Hue', antica capitale, sede dell'unica cittadella imperiale del paese. A causa della sua posizione centrale, e quindi della sua vicinanza con il fronte nella guerra con gli USA, Hue' e' stata bombardata piu' di ogni altra zona nel paese e la gran parte della cittadella e' andata quasi distrutta. Cio' non le toglie un fascino incredibile: passeggiando tra le rovine, le bandiere che sventolano orgogliose ovunque e la foto dello Zio Ho CHi Mihn che troneggia all'ingresso della cittadella ci fanno capire quanto il Vietnam avesse desiderato la liberta'.

L'ultima tappa in Vietnam e' un po' la ciliegina sulla torta: un giorno ed una notte a bordo di una imbarcazione vietnamita di quasi 30mt tutta per noi, con tre ponti, sette cabine, 4 membri di equipaggio (per 3 passeggeri!!!). Navighiamo alla volta della Baia di Halong, un altro sito censito dall'Unesco, che ha davvero dell'incredibile. Si tratta di una formazione montuosa che a causa dell'erosione da parte dei fiumi e' stata invasa dalle acque del mar cinese. Nella pratica si naviga in mare nel bel mezzo di oltre 3000 cime montuose, ripidi picchi ricoperti da una minima vegetazione. Il peasaggio e' mozzafiato ed il silenzio rotto solo dal motore della barca.

Ultimo Pho nella rigogliosa capitale, Hanoi, si saluta il caro Christophe che dopodomani compie 30 anni e si decolla, con la certezza che questo paese ha ancora tantissimo da offrirci: ciao Vietnam, arrivederci!

P.S. dal disgusto che potete notare sulle nostre facce, chiaramente la foto sul treno e' stata scattata su un altro treno... dopo troppo lusso la nostra indole spendacciona ci ha spinto a viaggiare in terza classe insieme al nipote di Ho Chi Minh...

venerdì 6 febbraio 2009

DISPACCI DAL VIETNAM

Hoi Han (Vietnam) 06/02/2009, di Tommaso Mazzocchi




Sono ormai due giorni che abbiamo lasciato Ho Chi Minh e il vecchio Raymond che ha fatto ritorno a NYC...un saluto veloce prima di saltare su un taxi che ci avrebbe portato in stazione a prendere il treno notturno diretto a Nha Trang...

Ho Chi Minh e' una citta' incredibilmente caotica, fiumi di moto sfrecciano per i viali ad ogni ora del giorno e della notte, ad ogni angolo di strada gruppi di vecchi stanchi aspettano i clienti appoggiati ai loro cyclo. Prima della guerra contro gli USA molti di loro erano giornalisti, insegnanti, medici,...ma come tanti altri furono puniti per essersi schierati dalla parte sbagliata.

HCM o meglio Saigon e' inevitabilmente gia' presente nella memoria di tutti, anche in quella di quei turisti che come noi fanno il loro ingresso in citta' per la prima volta. Piu' di qualsiasi altra guerra venuta prima e molto di piu' di qualsiasi altra guerra venuta dopo, il Vietnam e' presente nelle nostre menti, nel nostro immaginario collettivo: 'Apocalypse Now', 'Full Metal Jacket', 'Il cacciatore', 'Hamburger Hill', 'Rambo', 'Good Morning, Vietnam', 'Platoon'. Hollywood ha reso epica la vergogna della sconfitta americana con una forza sconosciuta ad ogni altro mezzo di comunicazione.

Abbiamo raggiunto HCM con un bus partito da Phnom Phen (Cambogia) la mattina alle sette. Sei le ore di viaggio. Poco fuori Phnom Phen il bus si imbarca su un traghetto per attraversare un piccolo tratto di Mekong che scorre a pochi chilimetri dalla citta'. Alla frontiera la polizia in divisa militare controlla passaporti e bagagli...ancora qualche ora e saremmo arrivati ad HCM.

Dormiamo in una pensioncina vicino al quartiere di Pham Ngu Lao, zona centrale della citta'. Passimo mezza giornata a girovagare quasi casualmente, fermandoci di tanto in tanto per un caffe', una partita a calcio in un parchetto insieme a dei ragazzi vietnamiti, una sosta in agenzia per comprare i biglietti dei prossimi treni. Se non fosse per il clamore che si porta appresso a causa delle vicessitudini storiche, HCM mi da l'impressione che sarebbe rimasta sconosciuta ai piu': priva di qualsiasi follia e ostentazione continua a mostrare il basso profilo di chi non ama apparire ma pensa piuttosto a lavorare sodo per guadagnarsi da vivere. Camminiamo per lunghi viali tra grossi palazzi in costruzione e cimeli dell'epoca coloniale francese: l'Hotel de Ville, la cattedrale di Notre Dame, l'imponente ufficio postale che esibisce un enorme ritratto dello "Zio Ho" sulla parete di fronte all'ingresso. Ultima tappa e' l' Hotel Continental in Dong Khai alla ricerca di Oriana Fallaci, di stanza qui durante la guerra!

Passiamo il secondo giorno a Cu Chi, anonima cittadina a trenta chilometri da HCM. Poche, a prima vista, le testimonianze dei combattimenti, dei bombardamenti e della distruzione che si abbatterono su Cu Chi durante la guerra. Per capire cio' che accadde bisogna andare sottoterra. La rete dei cunicoli di Cu Chi divenne leggendaria durante gli anni '60 per aver facilitato ai vietcong il controllo di una vasta area rurale a soli 30-40 km da Saigon. Al culmine del suo sviluppo la rete si estendeva dalla capitale sud-vietnamita al confine con la Cambogia. Le gallerie resero possibili le comunicazioni e il coordinamento tra le diverse zone controllate dai vietcong, isolate tra loro a causa delle operazioni aeree e di terra condotte dall'esercito sud vietnamita e da quello americano alleati contro il nord comunista.

I cunicoli costituirono la risposta di un esercito di contadini poco equipaggiati alle armi ad alta tecnologia adottate dagli americani. Con intelligenza e determinazione il nord vietnamita del generale Ho Chi MInh tenne sotto scacco il disorganizzato sud del presidente Diem per molti anni. Nel 1965 la vittoria dei vietcong sembrava imminente. L'esibizione di forza dei vietcong a Cu Chi fu una delle ragioni principali che spinse l'amministrazione Johnson al coinvolgimento diretto dell'esercito americano in Vietnam. Una delle prime mosse degli Stati Uniti fu quella di fronteggiare la minaccia comunista nella zona di Cu Chi costruendo una grossa base militare..chiaramente nessuno di loro era a conoscenza che sotto ai loro piedi esistevano vere e proprie citta' sotterranee popolate dai vietcong.

Ogni mezzo fu impiegato dagli americani per stanare l'esercito sotterraneo: desfoglianti chimici lanciati dagli aerei, benzina, napalm...i bombardieri americani B52 bersaglairono la zona a tappeto riuscendo a distruggere gran parte delle gallerie quando ormai i vietcong avevano raggiunto i loro obiettivi.

Durissima la vita dei guerrieri vietcong di stanza nelle gallerie costretti per mesi a non vedere la luce del sole. Moltissime le vittime (stimate intorno al milione solo dalla parte comunista). Caparbia, tenacia e finissima intelligenza valsero all'esercito di Ho Chi Minh la vittoria sulla grande America, costretta al ripiego durante l'amministrazione Nixon. La pace venne trattata dallo storico segretario di stato Henry Kissinger. Correva l'anno 1973.

martedì 3 febbraio 2009

Through my eyes an experience of a life time

Ho Chi Minh City, 03/02/2009, by Raymond Storms













It feels like yesterday when I bought a last minute ticket to Thailand to meet up with Tommy amd Fede. I can't believe I leave tomorrow to return to my everyday life. I still remember arriving in Chiang Mai where Fede bpmbarded me with a million questions about the plane I took from NYC. There was no hi Raymond! How was your flight? Instead it was was it a Boeing 777 or 747 how many passengers? How many hours?...Are you sure I don't believe you. It felt like an interrogation. ha ha I will take back a suitcase full of many fond memories throughout the trip from the slow boat where we had everyone from all around the world sing there national anthem and then learned beautiful spanish songs on the guitar to kayaking to Ventiane where our kaya flipped (great balancing skills Fede!) and my engagement ring now sits at the bottom of the river. I have witnessed a completely different way of life where smiles are abundant and patience is mandatory. Foriegners are welcomed as curious children stare with eager eyes. I was fascinated at how strong the locals spirits are. You would have thought they were millionares. They seem happy and content with there trivial life style. Maybe they have discovered the true maning of life. Once again I have made friends quickly and shared life experiences even celebrated a strangers birthday as if we had grown up together. There is something very powerful that happens to me when I travel. I feel I discover myself through others and also realize how big the world really is. I was greatly moved by the Khmer Rouge Museum in Ho Chi Min City. It baffles me how humans can destroy each other without giving it a second thought. In war, a school became a torture chamber for thousands of innocent people small children who haven't had a taste of the world, but quickly discovered death. I felt so priviliged to not have experienced war up close and personal. War to me is something I read about. Out of site out of mind. I felt spoiled not having to go through something that many countries have accepted as the norm. Southeast Asia has changed me.
One of my fondest memories is of our last big celebration which took place last night as a fancy restaurant called Mandarin. The food is known to be some of the best and after experiencing it first hand I would have to agree. My birthday is on Feb. 15 so the guys bought me a silk kimono from the market. As usual they bargained the poor woman into almost giving us the clothes for free. They are business men for sure ha ha. Fede, Tommy and Christophe also purchased silk shirts in different colors. The idea was since I was leaving early we would celebrate my birthday early and I was to wear the kimono and they there shirts. After puting it on I felt very stupid as no one in the country wears such a thing to go out in. We decided to have fun and the guys said why don't you be a famous opera singer from America. Fede told me I have to start practicing. I put on my sunglasses (at night to hide from the paparazzi) and we were out teh door. The night could not have gone better. Christophe was my bodyguard as well as my manager. Fede was my financial advisor and Tommy was my PR agent. Tommy and Fede went to Mandarin and stated that Mr. Raymond Storms himself is on his way and they need the best table in the house. The staff agreed and said oh yes Raymond Storms of course very famous! We caused such a stir at the restaurant. Fede and Tommy walked on my left and right hand side. Christophe walked behind me and acted like he was speaking into a head piece. The entire staff was waiting on us hand and food. The guys made sure I was served first and happy with everything. I think they had more fun with it than I did! Afterwards I sang for the manager and staff and they loved it. They really played there parts well. Mr. Storms would like this and Mr. Ucci would like that. As soon as we entered the taxi we almost peed our pants from laughing. The manager of Mandarin called a taxi for us and sent us to the best disco club in town where we made a seen again. People were asking me who are you? and Fede was blocking the people from getting too close. Everyone was watchingh us even the security guards. We had so much fun! I hope you have enjoyed having a slice of tghe trip through my eyes. Guys may the rest of your trip be as fun if not better. Don't miss me to much and don't eat to many cucumbers ha ha!

mercoledì 28 gennaio 2009

LAOS - ULTIME BATTUTE











SiemReap (Cambogia), 28/01/2009, di Tommaso Mazzocchi

Dopo una nottata di festeggiamenti passata a Ventiane, lasciamo il Laos alle prime luci dell'alba a bordo di un piccolo aereo ad elica diretto a Siem Reap - Cambogia. A partire da domani cominceremo la visita dell'enorme sito archeologico di Angkor aspettando l'arrivo di Christophe, amico parigino grazie al quale verra' portata a termine la triplice alleanza Italia - USA - Francia.

Da Luanprabang i giorni sono passati velocissimi... le highlights sono state:

un piatto di pesce in uno dei migliori ristoranti della citta' ha costretto Fede al solo e unico tragitto bagno-letto letto-bagno durante praticamente tutta la permanenza a Luanprabang, cosicche' io e il vecchio Raymond ne abbiamo approfittato per darci alla pazza gioia tra feste, massaggi, saune e ristoranti rinomati...

Lasciata Luanprabang a bordo di un pullman, in sole 6 ore di tornanti percorriamo i 160 km che ci separano da Vang Vieng! Per chiunque fosse alla ricerca di un'esperienza esotica e fuori dai comuni schemi del nostro mondo capitalistico, consiglio caldamente di provare qualsiasi tratta a bordo di un bus di linea laotiano: orario di partenza puramente casuale (il nostro bus parte un'ora e mezza dopo l 'orario previsto) e tantissime le soste durante le quali sale a bordo ogni genere di fauna umana trasportando qualsiasi tipo di mercanzia: polli, galline, pesci o semplicemente grandi sacchi contenenti chissa' che cosa. Una volta esauriti i posti a sedere, l'autista, probabilmente per arrotondare lo stipendio, continua a far salire gente finche' anche il corridoio non si riempie del tutto...ma il bello doveva ancora venire... In Laos, per chi non lo sapesse, sputare dai finestrini esibendosi in rumorosissimi grugniti con il naso e' una pratica consolidata e apprezzata tra i locali, sta di fatto che durante il viaggio abbiamo assistito ad uno spettacolo indimenticabile che ci ha fatto ammazzare dalle risate...chiaramente non potevamo esimerci dal partecipare alla competizione e l'esperienza accomulata in anni di CUS ci ha fatto guadagnare il rispetto di tutti i presenti!

Vang Vieng, citta' di poche case e di qualche Guest House, conta appena due vie che vengono distinte in Grande e Piccola. Bellissimo il panorama di monatagne che si gode dalle terrazze che danno sul fiume, specialmente se ammirate al tramonto. Passiamo una giornata intera in bicicletta alla ricerca di caverne e lagune blu (che in realta' tanto blu non erano!), avventurandoci lungo un sentiero polveroso e accidentato che collega moltissimi villaggi pieni di bambini che giocano con palloni da calcio bucati. 45 i km percorsi. Compagna di avventura e' Clotilde, ragazza francese conosciuta giorni prima a bordo della Slow Boat durante la traversara sul Mekong e che fara' parte dei nostri fino a Ventiane.

Raggiungiamo Ventiane pagaiando a bordo di Kayak lungo un tratto di fiume che collega le due citta'. Non riuscendo a prendere un accordo, per non finire in rissa formiamo due coppie Rossi-Bonomi... tutto il tragitto sara' un continuo punta a punta e imitazioni del grande Bisteccone Galeazzi e della celebre telecronaca che accompagno' i campioni di Sydney verso il traguardo: "'ale'Antonio, ale' Beniamino, ale' che sei il piu' forte del mondo...116 - 118...si guarda a destra si guarda a sinistra ed e' l'Itaaaalia!!!"

Dopo rapide, bagni e tuffi da scogli altissimi, un pick up ci porta fino a Ventiane, la capitale, dove a sera festeggiamo il 23simo compleanno di Clotilde che si commuove per la piccola festa che le abbiamo organizzato in un bar del centro e il regalo che le abbiamo fatto prima di partire per la Cambogia.

ps ABBIAMO AGGIUNTO NUOVE FOTO NEL POST DELLA MOTOCICLETTA!

venerdì 23 gennaio 2009

LA MAGIA DEL MEKONG

Louangprabang, 15.50, 23/01/2009, di Federico Ucci

























Una piccola piroga a motore, carica di turisti, ci ha traghettato sul lato orientale del Mekong ed abbiamo finalmente messo piede in Laos!

Il Laos e' uno dei paesi piu' poveri del mondo, la corrente elettrica, sebbene prodotta in grande quantita' dalla piu grande diga del sud-est asiatico, raggiunge solo le citta' principali, poiche' viene quasi totalmente venduta ai cugini Thailandesi, contribuendo in modo preponderante alla creazione della ricchezza del Laos. Per non parlare del telefono! I cellulari prendono solo nella capitale e citta' limitrofe ed internet e' una specie di lusso.
Le strade sono quasi tutte dei buoni sterrati e l'unica vera autostrada si chiama Mekong: il dodicesimo fiume piu lungo del mondo. Il Mekong non e' solo via di comunicazione dove le merci transitano sul percorso Cina, Thailandia, Laos, Vietnam, ma e' anche una vera e propria fonte di vita. Il pesce gatto, le alghe essiccate, i gamberi di fiume e via dicendo costituiscono la base dell'alimentazione Laotiana.
La nostra prima meta nel paese dei mille elefanti e' l'antica capitale, Louangprabang, di cui sappiamo poco e niente, se non che dal confine e' raggiungibile in 15 ore di bus (550 Km) o in due giorni di navigazione lungo il Mekong (300Km). Ovviamente optiamo per questa seconda opzione, malgrado gli scetticismi iniziali dovuti alla lunghezza del viaggio, alla rudimentalita' della barca ed alla possibilita' di contrarre la malaria.
Il viaggio si rivela un'esperienza unica! In due giorni scopriamo tutte le mille faccie di questo fiume meraviglioso, insieme ad un bel gruppone di giovani routard con i quali, grazie all'esuberanza di Raymond, e' piu facile rompere il ghiaccio (ed anche le palle per la verita'!).
Se il primo giorno chiacchieriamo, ammiriamo i pescatori, i cercatori d'oro, le lavandaie e...le rapide scoscese che sembrano poter sconquassare il nostro battellino ad ogni istante, il secondo giorno lo passiamo a socializzare e a sentire i racconti piu disparati. Grazie sempre al caro Raimondo convinciamo tutta la barca a partecipare ad una specie di Karaoke. INCREDIBILE: non solo si canta tutti insieme Cielito Lindo grazie alla chitarra di un'amica argentina, ma tutti devono anche cantare l'inno nazionale in rappresentanza del proprio paese. Ovviamente Mameli e' in Pole Position, ma rotto il ghiaccio tutti si lanciano e, udite udite, assistiamo perfino all'inno Laotiano cantato da un marinaio in assolo ed all'inno nipponico cantato da una timida coppia giapponese. Vi lascio immaginare l'atmosfera...

All'attracco penso che dal Mekong il mondo sembra veramente grande: in 2 giorni abbiamo fatto si e no un centimetro sulla cartina...ma quanti chilometri sulla strada della conoscienza!
Per chiudere in poesia, ho gia' mal di pancia...mannaggia sta cucina Lao!
Un saluto a tutti, in particolare ad una nostra appassionata lettrice da San Mauro Torinese

lunedì 19 gennaio 2009

DIARIO DELLA MOTOCICLETTA











Chiang Chong, 19/01/2008, di Tommaso Mazzocchi

crivo da Chiang Chong, cittadina di frontiera dell'estremo nord thailandese raggiunta in serata dopo sei ore di bus da Chiang Mai.. solo un piccolo tratto del fiume Mekong separa Thailandia e Laos..

Dopo i giorni passati tra foreste, camminate, elefanti e notti insonni partiamo alla volta della zona piu' settentrionale della Thailandia, quella comunemente conosciuta come triangolo d'oro, laddove Thailandia, Laos e Birmania si incontrano. Quest'area ha per molti anni soddisfatto circa la meta' del fabbisogno mondiale di oppio e le citta' di frontiera, come quella in cui dormiremo questa notte, sono quelle piu' legate alle attivita' di contrabbando ancora molto redditizie specialmente in Laos e Birmania.

800 i km totali percorsi a bordo delle nostre Kawasaki 250 cc.

Raggiunta la citta' di Fang dopo l'interminabile statale che collega Chiang Mai a Chiang Rai, imbocchiamo una piccola deviazione che ci portera'al villaggio di Mae Salong dopo centinaia di tornanti lungo una dorsale montana sul confine birmano. Mae Salong da l'impressione di trovarsi improvvisamente in un villaggio cinese: i muri delle case sono decorati da stendardi rossi con caratteri cinesi d'oro disegnati al centro e i vecchi del mercato conoscono solo la lingua cinese, mentre il thailandese e' parlato solo dai giovani. Il primo giorno e' stato un alternarsi continuo di passi collinari, montani, tantissime curve e strade polverose tra villaggi in cui il tempo sembra esserse fermato molti anni fa.

Abbiamo passato la notte a Mae Sai, anonima citta' di frontiera che ha come unica peculiarita quella di essere la citta' piu' settentrinale della Thailandia.

Il secondo giorno ci ha riservato la visita del bellissimo e coloratissimo mercato di Chiang Saen, una tra le antiche capitali thailandesi, affacciata sul fiume Mekong proprio dove Thailandia, Laos e Birmania si incontrano in corrispondenza della famosa frontiera conosciuta come Triangolo d'oro. Lasciata Mae Saen e' stato un susseguirsi di lunghissimi rettilinei lungo strade periferiche dirette a Chiang Mai. Per moltissimi km le strade di campagna costeggiano le ordinatissime campagne di riso, moltissime le mondine curve sotto il sole intente nella semina...

Per molti km la strada non ci ha regalato nemmeno una curva, per sconfiggere la noia immaginavo che ad un motociclista che almeno 60 anni fa si trovava a passare per Pavia, lo spettacolo che gli si doveva parare davanti agli occhi non doveva poi essere tanto diverso da quello che si vedeva dalla mia sella: le risaie allagate, le mondine con i loro cappelli di paglia per ripararsi dal sole e i piedi a mollo nell'acqua gelida della campagna allagata...mi sarebbe piaciuto continuare quel gioco, quando, senza quasi accorgermene, passiamo dal silenzio della campagna ai rumori della citta'...eravamo di nuovo a Chiang Mai.
Consegnate le moto ritorniamo al nostro hotel: in camera troviamo Raymond, simpaticissimo amico americano che ci ha raggiunto da New York per continuare il viaggio insieme a me e Fede!

sabato 17 gennaio 2009

CHIANG MAI: TREKKING NELLA GIUNGLA

Chaing Mai, 17/01/2009, 21.15 di Federico Ucci




Siamo di ritorno da un trekking di tre giorni nel folto della giungla thailandese, durante il quale, oltre a camminare, siamo andati a dorso di elefante, abbiamo fatto rafting nei torrenti su zattere di bamboo (fighissimo ma un po' pericoloso a dire il vero...), ci siamo lavati nei rivoli di montagna e soprattutto preso un freddo del Budda!!!

Infatti non sapevamo che l'escursione termica quotidiana nelle alture thailandesi e' di oltre venti gradi e che quindi se di giorno si cammina tranquillamente in maglietta, di sera ci sono solo pochi gradi sopra lo zero. Abbiamo fatto l'amara scoperta solo la sera del primo giorno, ormai lontani da ogni forma di civilta', alloggiati in una baracca di bamboo (all'aperto insomma) nel mezzo del bosco. Finche' si stava tutti attorno al fuoco a bere birre e a cantare Bob Marley tutto bene, ma quando si e' trattato di andare a dormire e di ripararsi con le misere coperte offerteci dai locali, la realta' montana ci e' apparsa in tutta la sua durezza! Giuro, non si poteva chiudere occhio dal freddo. Tommy, addirittura, per evitare l'assideramento, ha passato la notte all'aperto, sveglio davanti al fuoco, per coricarsi solo verso le 5 di mattina con giubbotto e scarpe! Io stesso sono uscito all'alba e non dimentichero' mai la faccia di Tommy che esce dalla capanna verso le 6: con gli occhi impastati, tutto bardato, con i pantaloni infilati dentro le calze tipo zuava, tremante, non mi lascia neanche aprire bocca e dice :"Fede, cazzo, noi ce ne andiamo sicuro!" Non ho potuto fare a meno di scoppiare a ridere!!!

A parte il freddo notturno, la compagnia era ottima, 11 ragazzi e ragazze tutti provenienti da paesi diversi e accompagnati da due guide thailandesi piu' sgangherate che mai.

Nonostante il trekking sia stato piuttosto leggero e fossimo partiti un po' prevenuti verso il tour organizzato, complessivamente si e' trattato di un'esperienza positiva, soprattutto per quanto riguarda i bellissimi paesaggi e la comitiva di ragazzi molto simpatici.

Saluti a tutti, in particolare alle mamme!!

FEDE

domenica 11 gennaio 2009

AYUTTHAYA

Ayutthaya, 11.01.2009 di Tommaso Mazzocchi
Raggiunta ieri sera dopo una giornata di viaggio a bordo di Pick-Up, traghetti, Tuk Tuk e Taxi (Kho Lanta-Puket-Bangkok), alle 09.30 di stamattina stavamo gia' salutando Bangkok dal finestrino di un treno diretto a Nord: la nostra meta questa volta e' Ayutthaya.

Antica capitale thailandese disegnata dall'incontro dei fiumi Chao Praya e Pa Sak, a partire dalla meta' del XIV secolo Ayutthaya fu centro di un grande e ricchissimo (grazie al commercio del riso!) impero che si estendeva a est fino ad Angkor (attuale Cambogia) e a ovest fino a Pegu (attuale Birmania) e frequentato dai migliori tra i mercanti europei, mediorientali e asiatici. La citta' fu messa a ferro e fuoco dai birmani agli inizi del XVII secolo e oggi non restano che alcuni tra i 2000 wat (templi) della vecchia capitale.

La giornata di oggi e' stata dedicata alla visita di alcuni di questi wat buddhisti, che nonostante le loro antiche origini, giocano ancora oggi un ruolo essenziale all'interno della societa' thailandese. Sede di scuole e centro della vita sociale e comunitaria dei villaggi, i wat thailandesi ospitano i numerosissimi monaci (300.000 in Thailandia) che vivono al loro interno esercitando e insegnando le regole della condotta umana dettate dal Buddha piu' di 2500 anni fa. La tradizione prevede che ogni maschio buddhista entri in monacato per almeno un periodo della sua vita e l'ingresso di un giovane in monastero significa una grande soddisfazione per i genitori che vedono ripagati i loro insegnamenti.
Durante la permanenza al tempio il monaco ascolta i sermoni, studia il Tripitaka, pratica la meditazione e impara le virtu' di una vita ascetica. Partecipa inoltre ai lavori del monastero: lava i piatti e fa le pulizie.
All'alba esce andando di casa in casa per ricevere il cibo quotidiano che gli viene offerto dalla gente dei villaggi e delle citta'.

Ayutthaya, nonostante disti appena 85 km dalla capitale, sembra lontana dalla volgarita' di Bangkok: sporca, caotica, appestata, dove l'acqua e' inquinata e l'aria carica di piombo, dove una persona su cinque non ha una vera casa e una su sessanta ha il virus dell'AIDS, una donna su trenta si prostituisce e ogni ora qualcuno si uccide. Ad Ayutthaya la gente sembra essere ancora consapevole che in mezzo alle persone in carne e ossa vivano altri esseri, invisibili questi, creati dalla fantasia, dall'amore, dal timore della gente. I Thai, come gli altri popoli della regione, chiamano questi esseri pii, spiriti. (T.Terzani, Un indovino mi disse).
Ad Ayutthaya ogni azione della vita sembra regolata in modo da non offendere o recare disturbo agli spiriti. La pace che regna tra i due fiumi della citta', oggi, mentre pedalavamo per le sue strade o camminavamo in mezzo ai suoi templi o nei mercati, mi ha dato l'impressione che tutto quello che avevo letto fino ad ora sui pii, non fosse semplicemente il frutto di antiche leggende o di astruse superstizioni.